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Conviene davvero fare presentazioni?
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Conviene davvero fare presentazioni?

Un podcast e una newsletter su una questione che ritorna ciclicamente
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Ciao, qui Maura.

Innanzitutto, chiedo scusa. Ho deciso di registrare un podcast e scrivere una newsletter su un tema che riguarda il mio lavoro e che credo sia importante, ma immagino che tutte le persone che ci leggono qui si sveglino ogni mattina - come noi -con la paura di quello che potrebbe essere successo nella notte in Medio Oriente. Riconosco quindi che queste riflessioni possano sembrare veramente questioni di lana caprina per privilegiati.

Questa newsletter nasce dalle riflessioni condivise nel podcast di questa settimana. Se l'argomento vi interessa, vi invito ad ascoltare la puntata completa per una discussione più lunga e articolata (ho parlato per mezz’ora).

Il tema è questo: negli ultimi giorni scrittori e scrittrici hanno condiviso le loro riflessioni sulla fatica che deriva dal continuo spostarsi per incontri pubblici, spesso non remunerati, in un paese che paradossalmente legge poco ma organizza moltissimi eventi culturali. È una questione che mi tocca da vicino perché la vivo da diverse angolazioni: sono autrice, editrice, libraia e organizzo eventi culturali da più di vent’anni.

Il paradosso italiano: pochi lettori, tanti festival

Viviamo in un paese che ha una distribuzione di eventi letterari più capillare delle biblioteche pubbliche stesse. Questa proliferazione di festival, presentazioni e incontri risponde a un bisogno profondo che va oltre la semplice promozione dei libri. Quando si presenta un libro, raramente si parla solo della storia raccontata. Gli incontri diventano occasioni di riflessione collettiva sulla condizione umana, sul presente, sul futuro. Riempiono un vuoto di spazi di elaborazione culturale e politica che la nostra società fatica a trovare altrove.

Io stessa ho iniziato a organizzare eventi per questa ragione. Nel 2002, a sedici anni, ho organizzato il mio primo festival a Mazara del Vallo, perché ne avevo un bisogno enorme: leggevo i blog letterari, seguivo Nazione Indiana e Primo Amore, avevo una passione divorante per l'editoria italiana, ma nella mia città queste iniziative non esistevano. Volevo vedere quelle persone, portarle dove vivevo io.

Oggi guardo questa questione da molti punti di vista. Come autrice, faccio presentazioni gratuite ma anche conferenze remunerate che rappresentano una parte importante del mio lavoro. Come editrice di Edizioni Tlon so quanto sia cruciale organizzare tour promozionali per i nostri libri. Come libraia, comprendo la necessità disperata di portare persone in libreria per vendere libri e pagare affitti e stipendi. Come organizzatrice di eventi, conosco la complessità logistica ed economica di ogni iniziativa.

Il costo nascosto di un'ora di presentazione

Quando devo andare a presentare un libro, diciamo a Empoli partendo da Roma, quello che sembra un impegno di un'ora diventa in realtà l'occupazione di due giornate intere. Parto in tarda mattinata, dormo sul posto, torno il giorno dopo a metà mattinata. Moltiplicato per decine di eventi durante l'anno, diventa difficile da sostenere in termini di vita, organizzazione e lavoro.

Per le librerie indipendenti la situazione è ancora più complessa. Immaginate di organizzare la presentazione di un libro che costa quattordici euro. Se avete la fortuna che casa editrice e autore si accollano tutte le spese di trasferta, e vendete cinquanta copie, incassate settecento euro. Il vostro guadagno è il trenta percento, quindi duecentodieci euro. Da questi dovete sottrarre la cena all'autore, le spese di comunicazione, magari una sponsorizzazione sui social per raggiungere il pubblico locale, perché oggi è diventato difficilissimo comunicare efficacemente nel proprio territorio senza pagare. L'economia dell'incontro diventa rapidamente insostenibile.

Qualche anno fa, io e Andrea abbiamo pubblicato un libro di cui eravamo molto entusiasti e abbiamo ricevuto tantissime richieste di presentazioni. Mossi dal desiderio di parlarne e dalla soddisfazione per l'interesse suscitato, abbiamo accettato molti inviti. Solo dopo mesi ci siamo accorti di aver lavorato pochissimo a pagamento e di aver fatturato molto poco, spendendo più di quanto avevamo guadagnato, tra viaggi, organizzazione e il lavoro delle persone che ci supportavano.

La questione di fondo è la sostenibilità: economica, ma anche umana. Il rischio è che a un certo punto il corpo dica basta, perché viaggiare tutto l'anno non è così facile come può sembrare. Io amo parlare in pubblico, mi manca quando non lo faccio, ma riconosco che la stanchezza fisica è reale e va presa sul serio.

Tra romanticizzazione e realtà

So che questo discorso può sembrare quello di privilegiati che si lamentano nonostante ricevano applausi e riconoscimento, ma ridurre tutto a questo significa non comprendere la complessità sistemica della questione: il lavoro culturale va riconosciuto come lavoro vero, che comporta molta più fatica di quanto sembri e non ha nulla di romantico.

C'è poi un aspetto che trovo particolarmente preoccupante: il rischio che conti più la presenza fisica dell'autore che il libro stesso. Come se partecipare a una presentazione equivalesse a leggere l'opera. Quando presento Erotica dei sentimenti, cerco di toccare diversi punti che si trovano nei vari capitoli, ma è tutto molto frammentario rispetto a quello che c'è scritto nel libro. Posso parlare un'ora senza fermarmi, ma l'audiolibro dura cinque-sei ore. Chi ascolta l'incontro sta ricevendo forse il quindici-venti percento di quello che ho scritto, raccontato in modo colloquiale, senza le fonti, senza il percorso strutturato che ho costruito per permettere una riflessione più profonda. Eppure, nella voracità del sistema in cui viviamo oggi, sembra già anche troppo esaustiva.

Sostenibilità e riconoscimento

Credo che tutti abbiano un po' ragione in questo dibattito: autori, librerie, editori, organizzatori di festival. Non dico questo per assumere una posizione diplomatica, ma perché effettivamente è una condizione di sforzo e fatica da parte di tantissime persone, accompagnata dall'altro lato da un autentico desiderio e bisogno di incontro.

La soluzione, secondo me, sta nel guardare moltissimo alla sostenibilità e nel riconoscere che il lavoro culturale è lavoro vero, che merita sostegno pubblico più consistente e rispetto per le sue specificità. Ridicolizzare questa fatica non ha senso, così come non ha senso ridicolizzare nessuna delle parti coinvolte in questo sistema complesso ma vitale.

Dobbiamo trovare modi per preservare questa rete preziosa di incontri e riflessioni senza consumare le energie di chi la rende possibile. Perché alla fine, in tempi così pericolosi, questi spazi di elaborazione collettiva sono più necessari che mai.

Maura

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