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Perché la Sinistra ha sempre bisogno di perdere

Moralismo, autosabotaggio e mancanza di immaginario: anatomia di una sconfitta perenne

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Andrea Colamedici
ott 29, 2025
∙ A pagamento
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Stasera alle 21 torna l’appuntamento su Zoom con Filosofia di Gruppo.
Gli abbonati trovano il link a fondo pagina. Partiremo da questo articolo e dal testo qui sotto, che ne è la prosecuzione.


Nell’ultimo articolo ragionavamo sul fatto che, davanti a una rana gonfiabile che saltella gioiosa durante una manifestazione, la macchina narrativa reazionaria che vuole raccontare le proteste di piazza come “semplicemente facinorose” perde ogni presa.

La gioia radicale è, infatti, l’affermazione di una possibilità di vita che il potere non può colonizzare: i costumi gonfiabili dei manifestanti incarnano una forma di spreco gioioso che non produce nulla nel senso capitalistico del termine, e proprio per questo sfugge alla logica imperante dell’accumulo e del calcolo.

Un carro allegorico tra le vie di Putignano, durante il Carnevale.

Il sacrificio dell’efficacia

Curando la direzione filosofica del Carnevale di Putignano ho capito meglio cosa intendesse Georges Bataille nello spiegare che il sacro, il festivo, il trasgressivo eccedono il dominio della ragione, introducendo nell’ordine sociale un elemento di pura perdita e di consumo senza ritorno. Le manifestazioni di piazza con le creature gonfiabili potrebbero quindi diventare feste insurrezionali, pura affermazione di una vita eccedente, irriducibile a merce o a forza-lavoro. Perché il potere sa sì gestire la rivendicazione e reprimere la violenza, ma non sa che farci con la festa, il riso, la dépense gratuita che non domanda nulla perché, sacrificandosi, afferma già tutto ciò di cui ha bisogno.

Scriveva a proposito Bataille ne La notion de dépense:

Il sacrificio non è altro, nel senso etimologico della parola, che la produzione di cose sacre. Fin dall’inizio, appare come le cose sacre siano costituite da un’operazione di perdita.

Il manifestante classico si presenta (giustamente) come soggetto politico che merita ascolto, rispetto, considerazione. Chiede di essere preso sul serio dal potere.
Il manifestante-dinosauro, invece, rinuncia completamente a questa postura dignitosa. Si fa ridicolo, buffo, infantile. Perde la serietà e compie un sacrificio della propria immagine di “interlocutore credibile”.
Mentre il manifestante classico si presenta con la propria identità (lavoratore, cittadino, appartenente a una certa categoria), il manifestante in costume la perde completamente e diventa altro. In questo modo il costume si fa sacro (nel senso eterodosso di Bataille), perché si costituisce attraverso un’operazione di perdita volontaria di ciò che renderebbe la protesta “efficace” secondo i criteri della razionalità strumentale.

È, quindi, il sacrificio dell’efficacia ordinaria a produrre l’efficacia simbolica.

Impotenza Sinistra

C’è però una domanda inaggirabile: dopo che gli scostumati avranno occupato le piazze mondiali e prodotto un flusso sterminato di immagini virali, cosa accadrà? In che modo queste pratiche si potrebbero tradurre in un cambiamento politico concreto?

Il Carnevale sovverte il potere una volta l’anno, ben consapevole di correre il rischio di fungere da valvola di sfogo utile a tenere in vita proprio quel potere contro cui si rivolta. È una festa che ha senso se inserita in una pratica comunitaria di vigilanza costante, volta a custodirne la portata sovversiva durante tutto l’anno.

Il rischio di una carnevalizzazione delle proteste è che queste diventino un innocuo folklore, una resistenza che non minaccia affatto le strutture di potere, (do you remember Girotondi?).

Che tenerezza.

È sufficiente vedere cos’è successo alle proteste di piazza per la Global Sumud Flottilla: è bastata una finta pace (arrangiata in tutta fretta) e il rientro a casa dei naviganti per sedare in un giorno un movimento oggettivamente eccezionale, che aveva smosso per mesi animi e culi di milioni di persone in tutto il mondo1.

Le maschere, allora, devono essere l’innesco di qualcos’altro: possono servire a pensare la festa come disciplina e come prassi politica. Purtroppo però, mentre Trump e gli altri ipnocrati costruiscono coalizioni ampie e caotiche che includono contraddizioni colossali (libertari e autoritari, cristiani fondamentalisti e tecno-accelerazionisti, poveracci e miliardari), la Sinistra passa il tempo a purificarsi.

Il risultato, com’è palese dai tempi del Bertinotti di Corrado Guzzanti, è una progressiva frammentazione in micro-identità, ognuna convinta di essere l’unica depositaria della verità, in un’epurazione costante in cui

il più pulito c’ha la gogna.

La moralizzazione al posto della politica

Invece di pensare per bene a come conquistare spazi di potere per trasformare le condizioni materiali del popolo, ci si dedica per la maggior parte del tempo a catalogare chi è moralmente accettabile (noi) e chi no (loro). E così si produce una cultura della denuncia perenne in cui ogni errore, ogni frase ambigua, ogni posizione non perfettamente allineata diventa motivo di disgusto e dileggio, e alla lunga di ostracismo2.

Ci siamo caduti tutti? Sì, ci siamo caduti tutti. Ma così abbiamo perso completamente la capacità di pensare il potere come rapporto di forze, come campo di battaglia strategico in cui vince chi sa costruire egemonia, non chi ha la coscienza più pulita. Non dobbiamo mica mangiarcela, la coscienza: dobbiamo usarla. Eppure a sinistra oggi a contare è più la sensazione di avere ragione che il desiderio di trovare la quadra per rendersi utili ai più fragili.

Nel frattempo la Destra dice, con una certa soddisfazione:

“fanno tutti schifo, noi compresi, e va bene così”.

È una posizione di potere straordinaria perché è completamente impermeabile alla critica morale. Quando vengono attaccati Meloni per le sue contraddizioni o per la sua incompetenza, Salvini per la sua grettezza radicale, i vari Ministri del Governo nelle loro mediocrità e compromissioni, hanno tutti hanno gioco facile a rispondere:

“Ma noi non fingiamo mica di essere i migliori. Noi siamo esattamente come voi”.

E gli elettori non solo non li abbandonano, ma si identificano ancora di più, perché percepiscono nel frattempo l’insulto morale dell’altra parte come uno sputo dall’alto di una classe che li considera inferiori per natura.

Il fatto è che la Sinistra si sente davvero migliore, ma per meriti oramai decaduti. E, a differenza della Destra, dice:

“fanno tutti schifo, a parte noi”.

È una posizione di enorme debolezza, perché richiede un’integrità morale costante e irrealizzabile, totalmente disumana. La Sinistra non può dire “abbiamo fatto un errore ma andiamo avanti”, perché l’errore ne invaliderebbe la premessa costitutiva. Deve costantemente purificarsi, espellere i traditori (ossia pian piano tutti), per dimostrare di essere davvero diversa. E così si rende strutturalmente incapace di costruire un potere reale, che è giocoforza impuro, frutto di compromessi, e sempre un po’ sporco.

La Sinistra si è condannata a una tristezza infinita:
la
dépense senza la festa, il sacrificio senza la grazia.

Il problema di Cristo

Il fatto è che dietro c’è un problema cristologico irrisolto. La Sinistra contemporanea (in particolare quella italiana) ha ereditato la struttura psichica e morale del cristianesimo, ma senza la teologia che lo rende sostenibile. Ha preso Cristo come modello di perfezione morale (il giusto che si oppone ai potenti, che sta dalla parte degli ultimi, che rifiuta ogni compromesso con il potere corrotto, che preferisce la morte al tradimento dei princìpi) ma ha rimosso completamente gli elementi teologici che rendevano quella figura sopportabile per i suoi seguaci: la grazia, il perdono dei peccati, la consapevolezza dell’imperfezione umana costitutiva, e soprattutto la divisione dei ruoli tra il Cristo perfetto e l’umanità imperfetta che, pur stortissima, cerca di seguirlo nonostante sappia, a monte, che fallirà.

Jean le Noir, Bourgot (?) e bottega, Miniatura della Piaga del Costato di Cristo e degli Strumenti della Passione, folio 331r, nel Libro d’Ore di Bonne di Lussemburgo

La Sinistra ha preso Cristo come modello etico ma ne ha rimosso la divinità, creando una struttura psicologica impossibile per chiunque da sostenere. Ogni militante e ogni leader deve incarnare quella perfezione morale che nel cristianesimo era riservata solo al Dio fatto uomo. Ma siccome nessuno è divino, nessuno può davvero incarnarla. E così ci si condanna a un ciclo infinito di identificazione con figure che assumono temporaneamente quella perfezione ideale, seguito da una disillusione brutale quando rivelano la loro (ovvia) umanità imperfetta. E così ricomincia il giro, che si fa di volta in volta più tragico e disilluso.

L’ultima ad essere finita in questo circolo sacrificale è Francesca Albanese che, con una velocità incredibile, è prima stata indicata come la miglior opzione per il gioco di ruolo più amato dai progressisti, “La sinistra riparta da”, e poi è stata scaricata in fretta e furia dall’intellighenzia italiana. Intellighenzia che, nel frattempo, si è ben guardata dal leggere i contenuti dei suoi puntualissimi report. Perché basta una frase o un gesto con cui si mostra di “non essere il Cristo” per meritare la scomunica dei compagni. Albanese meriterebbe sostegno non perché è pura o perfetta (nessuno lo è), ma perché svolge (da anni) un lavoro documentale incessante e necessario; lavoro che (da anni) è sotto l’attacco coordinato di enormi poteri statali e parastatali.

La Sinistra vuole essere Cristo e prendere il potere politico, vuole mantenere la purezza morale ed esercitare il governo del mondo. Ribaltando il detto evangelico, vuole essere del mondo ma non nel mondo.
È una contraddizione teologica irrisolvibile.

Il rifiuto della dimensione simbolica

Ciò che le rane gonfiabili rappresentano è proprio quel che la Sinistra mainstream non riesce a fare: operare sul piano simbolico con consapevolezza, usando l’ironia e il perturbante come armi politiche e abbandonando la serietà mortale che la caratterizza: il suo bisogno di essere sempre razionale, sempre argomentativa, e soprattutto sempre pedagogica. Che palle, ragazzi. Serve accettare che la politica è anche3 teatro, rituale, mito, immaginario, e che chi rifiuta di operare su questi piani desidera, in fondo, perdere.

La Sinistra oggi ha strutturalmente bisogno perdere.

Serve smettere di provare soddisfazione per il fatto di essere gli ultimi testimoni di valori supremi in via di estinzione, abitati da una cultura del martirio senza resurrezione.

Per chi vive davvero una condizione di oppressione e sfruttamento, la purezza ideologica dei propri rappresentanti politici importa molto meno della capacità di migliorare concretamente le loro condizioni di vita. E di conseguenza queste persone si rivolgono a chi promette comprensione e risultati, anche se sono Salvini, Milei, Orbàn, Trump, anche se sono demagoghi che certamente li tradiranno. Lo sanno benissimo che non migliorerà nulla, ma almeno questi qui non li fanno sentire perennemente stupidi e giudicati.

Possibili vie d’uscita?

Le rane gonfiabili potrebbero essere un inizio, ma solo se chi le indossa capisce che non basta essere poetici e perturbanti; bisogna anche essere spietati e strategici. Bisogna essere disposti a vincere. E qui torniamo al punto iniziale: è facile dirlo, molto più difficile farlo quando ci si trova dentro una cultura politica che ha fatto dell’autosabotaggio e della purificazione costante la propria identità.

Come abbiamo scritto in Botanica della Meraviglia, abbiamo bisogno di gioia radicale, della laetitia di cui parlava Baruch Spinoza. Il filosofo olandese aveva capito che la gioia autentica è una trasformazione ontologica: quando provi laetitia diventi più potente, più capace di agire sul mondo. Le rane gonfiabili sono corpi gioiosi in senso spinoziano perché non ridono per dimenticare la tristezza della repressione.

Ridono perché sono abitati da una potenza di esistere che quella repressione non potrà mai toccare. Il potere può pure produrre tristitia, ma quando incontra laetitia, quando si scontra con dei corpi che hanno aumentato la propria potenza d’agire attraverso la gioia, può solo ricorrere alla violenza fisica. Può reprimere il corpo, certo, ma non può impedire che quel corpo, anche mentre viene represso, continui ad affermare la propria gioia e, quindi, a esporre tutta la violenza e l’impotenza del potere.


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