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Avatar di paola zermian

Buongiorno. Come sempre sapete dare parola al sentire. Il mio piccolo mondo che ci prova è il riflesso di ciò che descrivete. Ci incontriamo, progettiamo, discutiamo, ci informiamo. Qualche volta addirittura qualche piccola storia accade. Ma il prelievo energetico dello sgomento è tale che si fatica a non essere tentati di addormentarsi sul divano e lasciare che tutto accada. Grazie.

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Avatar di Marilena Tosi

Gentile Andrea, la leggo sempre volentieri, trovando nelle sue parole tanti spunti di riflessione interessanti. Questa volta però avrei un appunto da farle: lei dice che nello sconforto dei progressisti almeno c'è una consolazione, il sapere di essere dalla parte dei giusti e dei buoni Ma siete proprio sicuri, senza se e senza ma? Senza quel dubbio che almeno chi si professa filosofo dovrebbe coltivare? Non pensa che proprio questo senso di superiorità della serie " io sono progressista e voi non siete un c....o cioè incolti, trogloditi e fascisti nonchè disumani, abbia moooolto contribuito all'allontanamento delle persone dal vostro ambito? Quanto poi a sostenere , giustamente, che la destra non ha un pensiero forte nè cultura, nè visione del futuro, non pensa che lo stesso valga ad esempio per il PD? Invece di approfittare di questo periodo all'opposizione per dare corpo appunto ad un pensiero forte su sanità, scuola ,welfare, migranti, ( perchè non ditemi che la sinistra ha risolto tale problema, non ha neanche fatto lo ius soli o scholae quando avrebbe potuto!)che fanno? Sanno solo dire fascista, punto. Tanto per chiarire, voto da sempre i 5 stelle, quindi non mi dia della fascista. Grazie

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Avatar di Andrea Colamedici

Ma noi non siamo affatto i buoni. E il solo fatto di farci bastare l’idea di essere i buoni ne è la dimostrazione lampante.

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Avatar di Maria Martina

Mantenere alta la speranza, le ideologie sono palloncini pieni di aria, si gonfiano, diventano sempre più grandi, ma basta uno spillo, e puff, si sgonfia tutto.

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Avatar di Marco Papa

Grande Andrea. Siamo lucidi perfino nella consapevolezza. Abbiamo ragione di avere ragione. Che fare? Fare!

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Avatar di Marilena Tosi

Un altro convinto di avere la verità in tasca: la invidio!! Ma da dove le viene questa certezza? Io sono sempre macerata dai dubbi

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Avatar di Marco Papa

Gentilissima, credo di essere stato troppo sintetico. Allora, io non so da quale fatto scatenante Andrea abbia sviluppato una analisi spietata come quella che ha presentato. Io la condivido grandemente. E di fronte al senso di annichilimento che offre penso che l’unica risposta sia fare. Nessuna certezza, ma una verità sì. Solo facendo e non dimostrando possiamo marcare una differenza. Ma fare è enormemente difficile. Dimostrare è facile e ci sembra sufficiente. No non lo è. O incarniamo quello che sottende Andrea o non rimane che rassegnarsi. Senza accettare

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Avatar di Isabella

Che fare?

Ascoltare? Raccontare? Uscire dalle consapevolezze?

Non so. Ma questa analisi in cui riconosco me e il mondo che mi circonda, mi ha fatto tornare alla mente un articolo di Mjriam Abu Samra, ricercatrice italo-palestinese, su come "portare Gaza nelle lotte locali", ovvero come tradurre lo slancio delle proteste e delle mobilitazioni (nel caso della Palestina) o, più semplicemente, degli eventi, delle attività o degli scambi, in un cambiamento duraturo e trasformativo.

Come nelle mobilitazioni politiche, anche qui "non si decide, non si pianifica, non si costruisce: si agisce per brevi slanci, si performa la radicalità, ma non si istituzionalizza alcuna continuità".

Manca la capacità di " articolare strutture collettive, pratiche comuni, visioni strategiche condivise".

E nel caso dellla cultura, manca la costruzione quotidiana e, auspicabilmente, collettiva di "spazi (politici) capaci di durare, resistere e trasformare".

Al di là di tutto, io trovo che se si continua a tenersi distanti dal problema, utilizzando le categorie standard dell'ultimo decennio (ovvero, "vi mostro il (mio) pensiero"; "vi insegno la tecnica"), il problema diventerà sempre più inafferrabile perché riconosciuto come irreale, per quanto i suoi effetti siano, invece, incombenti.

Non abbiamo ancora soluzioni. Tutto va molto velocemente e i parametri di riferimento si sgretolano, ma credo che forse dovremmo smettere di "eventificare" tutto, dare corpo alle mete e privilegiare la continuità del racconto.

(Ma è solo una delle mille, possibili, visioni...)

Per chi volesse leggere il testo citato:

https://comune-info.net/quelle-grandi-proteste-per-la-palestina/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_source_platform=mailpoet&utm_campaign=Indagare%20l%27amicizia

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Avatar di Thomas L’Imposteur  🌈

Penso che ci vorrebbe un anti-manifesto per la cultura. Un pamphlet coraggioso nel ribaltare gli schemi, una specie di corrispettivo del saggio politico scritto dalla filosofa americana Susan Neiman e appena uscito in Italia: “La sinistra non è woke. Un antimanifesto”. Utet, 2025 (ed. orig. 2023). Qualcuno dovrebbe finalmente scriverlo un pamphlet affiliato capace di ribaltare tutti i luoghi comuni del fare cultura, tutti gli stereotipi che oggi per lo più vengono considerati indiscutibili e così vengono sottratti al pensiero critico e al cambiamento. Il fondamento considerato indiscutibile su cui poggia il Salone del libro è una formula di origine televisiva: la mescolanza tra alto e basso, cultura e pop: Umberto Eco e Fabio Volo, Emmanuel Carrère e Valéry Perrin. E poi libri sul dolore ed eventi sui libri sul dolore, esattamente come si fa tv del dolore. Questo grande frullato pone tutto sullo stesso piano ma allo stesso tempo impedisce che nasca un terreno comune per il confronto. Esattamente come succede nella parabola involutiva di ciò che viene chiamato “woke”, in campo culturale è avvenuto un fenomeno di tribalizzazione dei gusti che censura qualsiasi discorso sulle differenze di valore, percepito come potenzialmente offensivo nei confronti delle “altre comunità“: per es. I fan di Volo o della Perrin. I lettori vengono ormai segmentati in gruppi chiusi concepiti come altrettante tribù separate, ostili e unite al loro interno da una venerazione comune di carattere esclusivamente sentimentale. Ora occorre far emergere un fenomeno che in Italia non sembra essere stato oggetto di indagine. Negli USA, ricerche di sociologia della cultura avvenute nei decenni ‘80-‘90 del secolo scorso avevano dimostrato grazie all’analisi comparativa dei risultati di indagine statistiche il fenomeno dell’evoluzione progressiva del gusto degli strati sociali più colti verso preferenze culturali “onnivore”, allontanandosi dall’esclusivo attaccamento alla cultura più elevata che era stato tipico delle generazioni precedenti. Per es. ascoltare musica classics e opere liriche ma anche rock e pop. Vedi: Peterson, Richard A., and M. Roger Kern. 1996. “Changing highbrow taste: From snob to omnivore”, in: American Sociological Review 61.5: pp. 900–907. Paradossalmente si diffondeva nelle fasce culturalmente più elevate una specie di nuovo tipo di snobismo culturale che consisteva in una esibita assenza di qualsiasi “snobismo”. In quegli stessi decenni in Italia avveniva un’operazione molto simile di sdoganamento dei gusti pop condotta da quella che era l’ala più giovane della cultura di sinistra. Risultati che vediamo oggi: estrema orizzontalità imposta a qualsiasi discorso-evento di carattere estetico-culturale, appiattimento del giudizio critico che “non deve” offendere i fans di nessuno, morte delle recensioni critiche più volte dichiarata. In sostanza, come l’involuzione della politica woke ha aiutato la tribalizzazione della società, fenomeno di cui si è avvantaggiata la destra estrema, in campo culturale l’orizzontalità assoluta del dibattito gli ha fatto perdere verve critica mentre la tribalizzazione dei gusti impedisce che ci sia una cultura comune all’interno della quale confrontarsi. La cultura del libro è diventata mercato del libro così come lo vede e lo vuole qualsiasi editore generalista che vuole acchiappare ogni genere di lettore. O così come lo vede un canale TV generalista. È una involuzione che corre parallela a quella dello spirito woke. Al Salone del Libro inizia con la volontà a inizio anni ‘90 di non essere più solo mero organizzatore degli spazi della “più grande libreria d’Italia” ma organizzatore culturale. Nel 1993 l’industriale torinese Guido Accornero che allora era proprietario del Salone del Libro, chiamò a dirigere gli eventi culturali del Salone il giornalista Beniamino Placido che rimase in carica 5 anni. La programmazione culturale del Salone prese una piega “televisiva” ispirata al metodo della grande commistione di alto e basso che vediamo tutt’ora. È la stessa formula che ripete instancabilmente Fabio Fazio, in TV per l’appunto. Piace e ha successo solo all’interno di una cerchia di aficionados. Ma fuori da lì non conquista, non ha capacitá attrattiva e propulsiva. Lo dimostrano i dati sul grande calo dei libri acquistati in Italia nell’ultimo anno. Perché una formula culturale così modellata sul mercato e su modelli televisivi non ha capacità critiche dirompenti per dare vita a nuovo pensiero e attirare l’attenzione di chi fino a quel momento non si interessava di nulla. Fateci caso: ogni anno le uniche vere notizie sul Salone sono quelle sull’ennesimo gruppo estremista che vuole sfondare le porte, esserci, portare le sue posizioni dentro quella che percepisce come una “cittadella” esclusiva ma che in realtà non ha nulla di esclusivo. Quando arrivò Beniamino Placido i torinesi universitari sognavano semmai Bernard Pivot e il suo Apostrophe. Ma era già troppo tardi, qui. Ora è venuto il momento di raccontare come la cosiddetta “egemonia culturale” della sinistra abbia finito incautamente per sposare modelli culturali acritici che avrebbero distrutto quella presunta egemonia. Perché bisogna pur spiegare come mai da una situazione di “egemonia” si passa a essere solo più lo spirito in cui si riconosce una nicchia. Il libro di Susan Neiman offre un modello per fare questa indispensabile autocritica.

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Avatar di Federica

Quasi 50 anni di sinistra da sempre (per valori non certo per partito). Oggi faccio una fatica immensa a votare e mi scoraggiano gli scopiazzamenti comunicativi (ma come si può?!) che il pd fa alla destra. Molti degli intellettuali che seguivo con speranza e fiducia mi ritrovo a immaginarli proprio in quei salottini sterili e supercazzolosi che la destra sguaiatamente condanna...e questo mi fa orrore!!

Nel mio piccolo cerco di mantenere il sorriso, l'educazione e lo spirito critico e di trasmetterlo alle mie figlie adolescenti. Chi vivrà vedrà

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