TikTok, Musk e la democrazia divorata dalle piattaforme
Come il mondo vero finì per diventare tavola (imbandita) delle Big Tech
“È solo fantascienza”, ha tagliato corto il portavoce di TikTok interpellato dalla BBC1 sulla possibile acquisizione della piattaforma da parte di X, l’azienda di Elon Musk. Eppure, secondo Bloomberg, fonti vicine al dossier confermano che tra gli scenari al vaglio dei funzionari cinesi c’è proprio quello di affidare le operazioni statunitensi di TikTok al social network di Musk. Chissà che non sia stato lo stesso Musk a mettere in giro l’informazione. Conoscendo un po’ il tipo, è possibile.
Al di là delle smentite, questo caso rappresenta molto più di una semplice disputa geopolitica e (quindi) commerciale. È un episodio emblematico che ci permette di esaminare come le piattaforme digitali siano oggi i principali vettori di trasmissione e costruzione dei valori sociali e, quindi, di invasione dell’immaginario.
La resistenza americana all’influenza di TikTok rivela la consapevolezza di come le piattaforme digitali funzionino in quanto strumenti di soft power2. Quando gli Stati Uniti accusano TikTok di rappresentare una minaccia alla sicurezza nazionale, stanno implicitamente riconoscendo che le piattaforme digitali non siano meri strumenti di comunicazione, ma tecnologie di costruzione sociale che mediano e plasmano la realtà quotidiana.
Ossia: se lo faccio io 🇺🇸 è entertainment. Se lo fai tu 🇨🇳 è invasione.
Una consapevolezza che svela il ruolo delle stesse Big Tech americane - da Meta a Airbnb, da Uber a Google - come vettori di esportazione del modello valoriale statunitense: un cavallo di Troia che sotto le spoglie di servizi apparentemente neutri diffonde e impone globalmente la visione americana di democrazia, mercato e individualismo.
Per capire bene la questione bisogna aver chiaro il concetto di Società delle piattaforme. Di seguito un focus sul tema dal nostro Ma chi me lo fa fare? Come il lavoro ci ha illuso (Harper, 2023):
In Platform Society3, José van Dijck, insieme a Thomas Poell e Martijn de Waal, evidenziano come la nostra sia ormai a tutti gli effetti una società delle piattaforme. In seguito all’aumento esponenziale dell’importanza delle piattaforme digitali nella vita quotidiana, sarebbe avvenuta una trasformazione radicale della struttura economica e sociale, con effetti tangibili sugli individui e sulle comunità.
L’utilizzo delle piattaforme influenza in maniera crescente i settori nevralgici della nostra società, in particolare il giornalismo, la sanità, l’educazione, l’istruzione e i trasporti. Il processo di platformizzazione sociale è praticato in particolare dalle Big Tech – Alphabet (Google), Amazon, Apple, Meta (Facebook) e Microsoft – a cui aggiungere le quattro cinesi – Baidu, Alibaba, Tencent e Xiaomi – che dominano i mercati mondiali e producono per prime quello che Shoshana Zuboff ha definito il capitalismo della sorveglianza, vale a dire la raccolta e l’analisi dei dati degli individui attraverso l’uso di tecnologie avanzate, e la contestuale offerta di prodotti e servizi personalizzati attraverso previsioni sui comportamenti (in primis d’acquisto e di voto) degli individui.
Il capitalismo della sorveglianza si fonda sulla creazione di una dipendenza dalle piattaforme digitali, che raccolgono e utilizzano i dati degli utenti per generare profitti e manipolare i loro interessi e le loro azioni.
In questo modo gli individui sono incentivati a fornire sempre più dati su se stessi allo scopo di ottenere nuovi servizi e maggiori funzionalità, e così facendo diventano sempre più dipendenti dalle piattaforme e meno capaci di tutelare – e perfino comprendere – i propri diritti, generando un grave danno a sé e alla democrazia.