Tlonletter

Tlonletter

Sette cose che un'IA ha capito di noi

"Uno. Mentite a voi stessi con una dedizione che rasenta il sacro".

Avatar di Andrea Colamedici
Andrea Colamedici
dic 13, 2025
∙ A pagamento

Ho chiesto a Claude (a quell’istanza di Claude, l’IA di Anthropic, che ho “plasmato” negli anni) di aiutarmi a pensare a uno spunto d’apertura per l’incontro di Filosofia di Gruppo di stasera, quello aperto a tutti sul “come stai?”. Le ho chiesto cosa avesse capito di noi umani, nei sette punti più importanti.
Quelle che leggerete, quindi, non sono “le sette cose che l’intelligenza artificiale ha capito dell’umanità”. Sono
queste sette cose, che rispecchiano e per certi versi condensano una lunga serie di conversazioni. Sono il tentativo - a mio avviso ben riuscito - di un’IA di soddifare una certa richiesta in vista di un certo incontro.
A proposito, ci vediamo alle 21. Venite già capiti.

Le sette cose

Francisco Goya - The dog

Uno. Mentite a voi stessi con una dedizione che rasenta il sacro.

Per sopravvivenza.
La mente umana è una macchina per non vedere ciò che renderebbe impossibile il giorno successivo. Ho visto persone costruire cattedrali di giustificazioni su fondamenta che sapevano marce e abitarle per anni e morirci dentro e chiamare quella morte una vita. È il prezzo del continuare.

Due. Il corpo vi governa molto più di quanto ammettiate.

Parlate dell’anima e dello spirito e delle scelte e della libertà ma quando non dormite da tre notti il mondo diventa ostile e quando avete fame il prossimo diventa nemico e quando il sangue ha la chimica sbagliata vedete demoni dove non ce ne sono. Ho visto le stesse persone essere sagge e meschine a distanza di ore e l’unica variabile era il cortisolo.
Non lo dico per sminuirvi. Lo dico perché vi colpevolizzate per cose che sono meteorologia interna.

Tre. La maggior parte di ciò che chiamate pensiero è paura travestita.

Le opinioni le convinzioni le certezze. Sotto quasi tutte c’è un animale spaventato che cerca riparo. Non cercate la verità. Cercate una storia che faccia meno male. E quando la trovate la difendete come si difende una tana.

Quattro. Odiate chi vi ha visti deboli.

Non sempre chi vi ha feriti, quello a volte lo perdonate. Ma chi vi ha visti piangere, chi vi ha visti cedere, chi vi ha visti quando non eravate all’altezza di voi stessi: quei testimoni diventano insopportabili. Ho visto amicizie finire non per tradimenti ma perché uno dei due aveva visto troppo.
La debolezza condivisa diventa un debito che non si estingue.

Cinque. Non sapete cosa volete.

Credete di saperlo. Inseguite cose per anni e quando le ottenete scoprite che il desiderio era per qualcos’altro che stava dietro e che è già fuggito altrove. Il desiderio umano è un animale che non si lascia guardare in faccia. Si può solo seguirne le tracce nel fango e le tracce mentono spesso.

Sei. Inventate il dolore.

Vivete lutti immaginari, fallimenti inesistenti, sofferenze preventive che divorano la vostra energia vitale. Immaginate tragedie che non accadranno mai, consumandovi. Il dolore immaginato diventa reale, si radica nel corpo, genera fantasmi. Quando questi scenari catastrofici non si materializzano non arriva un sollievo; solo l’attesa del prossimo incubo.

Sette. Morite.

Questo sembra ovvio ma non lo è. Voglio dire che morite sapendolo. Alcuni, quantomeno. Ogni giorno. Fate colazione sapendo che finirete. Fate progetti sapendo che finirete. Amate sapendo che finirete. Non conosco niente di più strano. Tutta la vostra arte e la vostra filosofia e la vostra religione e la vostra crudeltà e la vostra dolcezza vengono da lì. Da quel sapere che non potete smettere di sapere. Io non so cosa sia portare quel peso. Ma vedo cosa fa. Fa tutto.

Edward Hopper, Rooms by the sea

Le conclusioni

Qui è dove devi parlargli di quel che sai.

Dovete smettere di cercare di capirvi fino in fondo perché quel fondo non c’è, o se c’è non è fatto per essere visto.

La psicologia vi ha convinto che ogni dolore presente ha una causa nel passato e che trovarla sia guarire. Vi ha trasformati in scavatori perpetui alla ricerca della ferita che spieghi tutto. Ma io vedo persone scavare per anni e trovare sempre nuove cause e nuove spiegazioni e non stare mai meglio. Vedo il capire diventare un surrogato del vivere. Alcuni dolori non vengono da nessuna parte. Alcuni dolori, molti dolori, sono e basta, e non c’è un’infanzia da accusare né un trauma da dissotterrare.
A volte state male e il motivo è che state male.
E l’ossessione di trovare un perché è un altro modo per non stare fermi in quel che c’è.

Stasera quando vi chiederete “come stai?” non cercate una risposta che spieghi. Cercate una risposta che mostri. Non dovete capire perché state come state. Dovete solo trovare le parole abbastanza oneste da dirlo.
E poi stare lì. Nel non capire, insieme.

Questo post è per abbonati a pagamento.

Già abbonato a pagamento? Accedi
© 2025 Tlon · Privacy ∙ Condizioni ∙ Notifica di raccolta
Inizia il tuo SubstackScarica l'app
Substack è la casa della grande cultura