Non c'è alcun "vaso" di Pandora
Riflessioni sulla Speranza come gesto filosofico e politico
Il testo che segue è la rielaborazione degli appunti dell’incontro Speranza come gesto filosofico e politico, che abbiamo tenuto ieri, 4 settembre 2025, a Milano.
Durante questa conferenza abbiamo esplorato la speranza a partire dal mito spesso frainteso di Pandora e dal paradosso della speranza di Kafka, fino ad arrivare ai due Chirone della Medea di Pier Paolo Pasolini. Un viaggio tra mitologia, filosofia e politica per provare a riscoprire un’altra speranza.
Non c’è alcun vaso di Pandora
La prima operazione necessaria da fare per entrare per bene in questo mito è una correzione filologica, che comporta una serie di conseguenze interpretative decisive. Per secoli, Pandora è stata rappresentata come una donnetta curiosissima che proprio non riesce a resistere e apre un’urna elegante che non andava aperta. Ma il pithos di Pandora non era un vasetto nel senso che comunemente intendiamo, bensì un grande contenitore di terracotta alto tra uno e due metri che veniva utilizzato nell’antichità greca per conservare beni alimentari come cereali, olio e vino. La sua funzione era quella di deposito e conservazione a lungo termine, e veniva spesso parzialmente interrato per mantenere stabile la temperatura del cibo contenuto.
L’errore interpretativo che ha trasformato il pithos in “vaso” risale a Erasmo da Rotterdam che, nella sua traduzione in latino di Esiodo, rese pithos con pyxis (scatola). Creò così una confusione terminologica che poi si cristallizzò nell’iconografia artistica e nell’immaginario collettivo. Il grande storico della filosofia Jean-Pierre Vernant nota che la permanenza di Elpis nel pithos non deve di conseguenza essere interpretata come privazione ma come custodia: la speranza rimane protetta nel grembo terrestre, pronta a manifestarsi quando l’equilibrio cosmico lo richiederà.
Un pithos, infatti, per le sue dimensioni e la natura del pesante coperchio di pietra o terracotta che lo sigilla, non può essere “aperto” accidentalmente o per curiosità momentanea. Richiede uno sforzo deliberato e sostenuto. E nel testo di Esiodo è Zeus a spingere Pandora a chiudere il vaso. Ergo, l’azione di Pandora non può essere interpretata come un gesto impulsivo di “curiosità femminile” (interpretazione che ha alimentato secoli di misoginia nell’esegesi del mito) ma deve essere vista come un atto deliberato e consapevole.
Inoltre, il pithos aveva nella cultura greca connotazioni simboliche specifiche legate ai cicli di morte e rinascita: veniva utilizzato anche per le sepolture, in particolare nelle pratiche funerarie minoiche e micenee in cui i morti venivano deposti in posizione fetale all’interno di grandi pithoi, suggerendo un simbolismo di ritorno al grembo terrestre in attesa di rinascita. Il pithos richiama il simbolismo del cosmos stesso come grande contenitore ordinato, dove ogni elemento ha il suo posto secondo il disegno divino.
I Doni di Ermes
È importante leggere diversamente anche i “doni” che Pandora riceve dagli dèi1. Nel testo esiodeo Ermete è l’ultimo dio a offrirle i suoi poteri, e le conferisce quelle che saranno poi le cause dell’apertura del pithos: la “mente di cagna” e l’“indole di ladra”. Le traduzioni moderne, filtrate dal moralismo misogino, hanno letto questi attributi come difetti. Ma un’analisi più attenta rivela che si tratta in realtà di specifiche potenze divine.
La mente di cagna non è insulto animalesco ma