A lezione di Cimiterologia
Allargarsi la vita attraverso la Morte
“Gli studenti del corso di Cimiterologia devono rientrare nella cappella tra cinque minuti”.
È la terza volta in un mese che ascolto la voce metallica della direttrice provenire dagli altoparlanti del cimitero, ed è la terza volta che sorrido per qualche minuto come un cretino. L’idea di mettere in piedi un ciclo di incontri sulla morte e sul morire mediante l’attraversamento consapevole dei cimiteri ce l’avevo in testa da un po’, ma è stato grazie alla richiesta di aiuto di Yvonne A. Mazurek, la direttrice del cimitero acattolico di Roma, che ho potuto mettere a terra (o, per meglio dire, sottoterra) un desiderio che coltivavo da tempo, e la cui realizzazione mi fa gongolare.
Il cimitero acattolico è uno dei luoghi più belli di Roma: una vista unica sulla Piramide Cestia, un giardino splendido, un’ottima compagnia (l’ho scoperto grazie alla tomba di Gramsci, l’ho amato grazie a quelle di Keats, Amelia Rosselli, Dario Bellezza, tra gli altri). Ma da qualche tempo è in difficoltà, perché è diventato negli anni un luogo turistico nel senso più deteriore del termine: le persone lo visitano in massa senza cura, come se fosse un parchetto qualsiasi, un’ottima Instagrammopportunity. Ignorano il fatto che si tratti di un luogo privato, e non pubblico; e spesso mancano anche del rispetto verso chi vi officia un funerale, o va a visitare un proprio caro. Fotografano tutto, chiacchierano ad alta voce, escono senza donare nulla a un luogo che si tiene in piedi grazie a una rete di (quasi tutti) anziani volontari che, quotidianamente, permettono ai vivi di onorare tanto la vita quanto la morte. Da qui la richiesta di Yvonne, un giorno in cui io e Maura passeggiavamo tra le tombe, di pensare a qualcosa per il cimitero. Richiesta che ho accolto, lì per lì, fingendo di non provare alcun entusiasmo, mentre in realtà già mi vedevo insieme ad altri tanatofili a mettere le tende al cimitero.
E così ho cominciato da una mia abitudine: trascorrere il giorno del mio compleanno tra le lapidi. L’ho fatto, negli anni, al Père-Lachaise e a Montparnasse, al Verano, al Cimitero Monumentale di Milano, in piccoli cimiteri spesso anonimi qui e là per l’Europa, da quello di Zollino (dov’è sepolto mio nonno) al Zentralfriedhof di Vienna, dove “abitano” Beethoven e Mozart. Perché a me i cimiteri fanno bene, e vi ho sempre amato la vita che li abita. So che fa strano dirlo, ma mi pare la parte più interessante: i gatti, che spesso sono i veri proprietari di questi spazi; le piante - gli alberi, i fiori, l’erba; persino le persone che li visitano. Quelle che, rispetto al mondo “fuori le mura”, sembrano un po’ meno irascibili, un po’ più lente e meno violente, forse perché più a contatto con la tenerezza e con il dolore.

Passare il giorno del mio compleanno al cimitero, insomma, è un modo per ricordarmi che devo morire, e che morire va bene, e che ricordarselo allarga la vita, anche se non sembra, anche se l’idea di pensare alla morte fa paura. Così il 12 gennaio 2025 è nato questo ciclo di incontri di Cimiterologia, un approccio sistemico all’esperienza cimiteriale. I posti di solito finiscono in un paio d’ore, e qui è dove ci si può prenotare ai prossimi incontri (9 e 23 marzo, 6 aprile EDIT: tutto pieno). Non è uno studio architettonico dei cimiteri, né la condivisione di un interesse morboso per la morte. Piuttosto,